“Dedico il film a Monica Vitti, Virna Lisi e Mariangela Melato. Le avevo incontrate e pensavo di creare dei personaggi in altri film” (Ferzan Ozpetek).
Avevo deciso di non vedere “Diamanti”, il quindicesimo film di Ozpetek, principalmente a causa di una simpatia repressa verso il regista, ma anche perchè le motivazioni di chi ne parla bene mi sembravano meno convincenti di quelle di chi ne parla male. Poichè stavolta nel film interpreta se stesso, la mia avversione era aumentata.
A dirla tutta, col senno del poi, penso che la mia iniziale riluttanza avesse contorte parentele alla lontana con il sentimento di invidia e gelosia dei suoi detrattori, molti dei quali sono addetti ai lavori, artisti e critici o semplici spettatori, o intellettuali condizionati da certa ideologia conservatrice, che considerano il regista sopravalutato e sostenuto da una certa sinistra radical chic. Ozpetek, in molti dei suoi film, ha avuto il coraggio di normalizzare l’omosessualità (assente in questo suo ultimo lavoro), integrandola in un contesto sociale corale che unisce tutto l’universo conosciuto dei rapporti amicali e amorosi. Questo perchè Ferzan Ozpetek è stato, a mio parere e con le dovute differenze, in Italia ciò che Almodovar è stato per la Spagna e ha avuto più successo da noi rispetto a grandi registi italiani, anche se ha origini turche. Ed è oggettivamente un maestro della regia cinematografica, una delle arti più difficili e complesse.
Superata l’iniziale resistenza, mi reco al cinema più vicino dove il film è in programmazione e mi immergo in una intensa storia su due piani: uno ambientato ai giorni nostri e l’altro in un atelier sartoriale cine-teatrale degli anni 70-80. Racconta Ozpetek che la storia parte da un’esperienza personale, quando negli anni ’80 lavorava come aiuto regista e frequentava le sartorie di cinema e teatro Tirelli. “Erano luoghi che mi affascinavano” – dice in un’intervista – “dove la creatività si declinava con l’ingegno. Questo progetto era l’occasione ideale per poter raccontare un mondo attorno al quale eleggere le donne a protagoniste assolute”.

Tornando alla duplice trama del film, un regista profondamente appassionato decide di circondarsi di un gruppo di 18 attrici che considera le sue preferite. Queste includono non solo quelle con cui ha già avuto modo di collaborare in passato, ma anche quelle che ha sempre ammirato da lontano, senza mai avere l’opportunità di lavorare insieme. Il suo scopo è dare vita a un film che renda omaggio all’universo femminile, ma mantiene un alone di mistero sui dettagli del progetto. Osserva meticolosamente le attrici, cercando ispirazione nelle loro personalità uniche e nelle loro storie di vita, fino a quando la sua fervida immaginazione non le trasporta in un’epoca completamente differente dal presente. In questo nuovo scenario storico, il costante ticchettio delle macchine da cucire pervade l’atmosfera di un ambiente di lavoro dominato da donne forti, determinate e risolute, mentre gli uomini sono relegati a ruoli secondari e marginali, perlopiù corporei.
Proprio come le comparse che indossano costumi d’epoca sui loro corpi scolpiti, il cinema si anima da una prospettiva unica: quella dei costumi e delle mani abili che li creano. Tra solitudini profonde, passioni travolgenti, ansie sottili e assenze che lasciano ferite aperte, emergono legami indissolubili. La linea tra realtà e finzione si fa sottile, mentre le vite delle attrici si intrecciano intimamente con quelle dei loro personaggi. L’inevitabile competizione si fonde con un autentico senso di sorellanza, mescolando il visibile con l’invisibile.

Una scelta felice quella di vedere “Diamanti”, che evoca il rosa di una seta preziosa, il segreto doloroso di una donna, o un amore mai vissuto, come le rose che non colsi di un poeta crepuscolare. Un luogo dove la magia del cinema e del teatro si fondono, le storie prendono vita, tra la grande sartoria e gli esterni con lunghe tavolate corali, tanto care al regista, imbandite da una cuoca straordinaria, ex ballerina d’avanspettacolo, interpretata da una molto credibile Mara Venier, sorprendente rivelazione nel suo ritorno sugli schermi dopo anni di conduzione televisiva.
E una magnifica Luisa Ranieri, che nel film precedente “Nuovo Olimpo” aveva un ruolo minore, emerge ora come protagonista nei panni di Alberta, la determinata e ferrea proprietaria e direttrice della sartoria, accanto alla tormentata sorella Gabriella, interpretata da Jasmine Trinca, già co-protagonista di “La dea fortuna”. La scena in cui le due sorelle si confrontano dolorosamente, a causa di un dramma familiare irrisolto che continua a segnare le loro vite, è tra le più intense e commoventi dell’intera storia.
Tra le sarte spicca Geppi Cucciari, con il suo inconfondibile spirito definisce “vaginodromo” le riunioni delle attrici a casa del regista. Un’altra piacevole rivelazione che, dalla conduzione televisiva come comica satirica, si afferma con successo sul grande schermo. Inoltre, nel cast, oltre alle nuove scoperte, ci sono attrici importanti, da una delicata Lunetta Savino alla magnifica presenza (tanto per citare un altro film di Ozpetek) di Kasia Smutiniak, da Paola Minaccioni, sarta e madre preoccupata di un adolescente in crisi, a Elena Sofia Ricci, in un intenso cameo con primissimi piani da lumicini negli occhi.

Carla Signoris offre una performance eccellente nel ruolo di una stravagante attrice di teatro, seguita da una molto interessante Vanessa Scalera nel ruolo di una costumista premio Oscar, Anna Ferzetti, Aurora Giovinazzo, altra piccola perla, Nicole Grimaudo, Giselda Volodi, Milena Mancini, che merita un paragrafo a parte, Loredana Cannata in una breve scena in esterni, ma con uno sguardo che lascia il segno, concludendo con una deliziosa Milena Vukotic, nel ruolo della vezzosa Zia Olga. Tutte sono davvero bravissime, dai ruoli minori alle protagoniste, sapientemente dirette come da un direttore d’orchestra che indugia con la macchina da presa sulle note delle micro-espressioni sensibili dei volti delle talentuose attrici.
Dopo una sfilata interminabile di donne attrici, fanno il loro ingresso gli uomini attori: dal fascinoso Carmine Recano, amore incompiuto della direttrice Alberta, a Edoardo Purgatori nel ruolo del segretario della sartoria, da Stefano Accorsi, indimenticabile co-protagonista di “Le fate ignoranti”, “Saturno contro”, “La dea fortuna”, che interpreta il ruolo del “regista premio Oscar”, e il bravissimo Vinicio Marchioni, che assume il ruolo di un potenziale femminicida, un uomo che maltratta la moglie e la minaccia di buttarla in un pozzo. Questa scena colpisce profondamente, soprattutto in un’epoca in cui il dibattito sul femminicidio è tristemente al centro dell’attenzione pubblica. La donna lavora nella sartoria e spesso si presenta con il volto segnato da lividi. Le sue colleghe le chiedono se il marito fuma. Alla sua conferma, avviene una svolta: quando tenta di ucciderla facendola cadere nel pozzo, è lui a caderci dentro. Il giorno seguente, lei appare libera e radiosa. Del marito non si trova traccia, e lei risponde alle colleghe che è uscito per comprare le sigarette e non è più tornato, mentre loro le lanciano sguardi complici e sorridenti.
Secondo me, il film è davvero ispirato e ben riuscito. Meriterebbe un riconoscimento anche solo per la scena appena descritta. Tuttavia, ha molti altri meriti artistici e riesce a emozionare grazie alle straordinarie interpretazioni di un vero gineceo di attrici che il regista chiama Diamanti, come il brano sui titoli di coda, interpretato e scritto da Giorgia. Giuliano Taviani e Carmelo Travia, anche co-autori della bella canzone di Giorgia, hanno creato la coinvolgente colonna sonora del film. Quest’ultima è arricchita da canzoni di repertorio di Patty Pravo e dell’amata Mina, che interpreta anche un prezioso inedito scritto appositamente per il film: “Amore vero”.
Emyliù Spataro
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